Ho appena visto ad Este – presso il Museo Atestino – una mostra dedicata alla fotografa americana Vivian Maier. Fantastica, davvero! Commovente!
Vivian Maier era una donna semplice,
bruttina e sfortunata! Una femminilità aspra, forse una vergine che
non ha mai conosciuto le vertigini dell'amore ma che colpisce con la
sua immaginazione creativa e ti lascia la vertigine di chi si trova,
all'improvviso, come sospeso nel vuoto.
Un'amica materna e la madre stessa le
avevano trasferito la passione per la fotografia. Ma nella sua vita non ha avuto neanche i
soldi per sviluppare i rullini che faceva. Tutto è stato trovato per
caso dopo la sua morte. Ha avuto una vita grama. Tata in diverse
famiglie, una specie di Mary Poppins, nata da madre francese e padre
austriaco, immigrati in America; ha coltivato per decenni nel
silenzio questa sua predilezione per raccogliere immagini, come si
raccolgono le fragole nel sottobosco. E le sue immagini sono
profumate e inebrianti come frutti dell'incolto.
Ecco l'incolto.
Vorrei titolare queste riflessioni: “Vivian Maier ovvero la
dimostrazione della stupidità e dell'inutilità della scuola”. Nel senso che la formazione e il
curriculum scolastico certamente è importante, in ogni ambito del
sapere e del lavoro; non si discute, è certo, non vorrei essere
frainteso! Ma la fotografia di Vivian è la lampante dimostrazione di
come uno sguardo possa avere una sua purezza originale quando,
curioso e attento, si relaziona alle cose del mondo anche senza il sostegno di una scuola, di una formazione specifica,
tecnica e culturale. Insomma ci possono essere, e ci sono, vive e
pungenti come sapori a cui non siamo abituati, ricchezze inesplorate
anche nei sentieri di chi – come Van Gogh, per esempio – non ha
frequentato scuole e accademie e laboratori e studi fotografici, ma
proprio in forza di questa autonomia, di questa diversità è
arrivato a penetrare e indagare orizzonti preclusi a chi è stato
plasmato, ma insieme anche ingessato e soffocato, dalle scuole. Così
condizionato dagli sguardi altrui, dal sapere accumulato, dalle
visioni che abbiamo divorato avidamente, che non riesce più a vedere
nella pienezza della propria libertà. E in questo senso Vivian è
fantastica! Guardate quegli autoritratti che sanno di fresco e di
pulito, come i panni stesi all'aria pura. Confrontateli con i selfie
ripetitivi e stanchi a cui ormai siamo abituati, sommersi e
infastiditi anche. Quei selfie che somigliano alle pisciate di
animali che segnano il territorio ma non dicono nulla di noi e di chi
siamo e del senso dei luoghi che abitiamo.
Come Cartesio, dunque: abbandonate ogni
sapere scolastico voi che vi accingete a guardare il mondo con
l'occhio del fotografo... imparate dalle mani nodose, dalle rughe
della terra, dai volti degli sconfitti, dagli oggetti abbandonati che
cantano la loro inascoltata poesia.
Guardate qui alcune foto